L’esperimento scientifico su BION M1

5 giugno 2013 – Un successo tutto italiano l’esperimento scientifico dell’ISTEC insieme al Dip.to di Ingegneria Industriale – Sez. Aerospaziale dell’Università “Federico II” di Napoli durante la missione BION-M1.

La ricerca spaziale italiana continua a farsi valere in campo internazionale, nonostante le fonti di finanziamento tendano drammaticamente ad allinearsi all’attuale recessione economica.

Recupero della capsula dopo atterraggio

E’ trascorso realmente poco tempo, esattamente il 19 maggio 2013, da che la capsula russa Photon della missione BION-M1, dopo circa un mese di permanenza in orbita a 575 km di quota, è rientrata sulla Terra dopo aver portato a compimento una serie di esperimenti scientifici nel campo della biologia, fisiologia, biotecnologia e scienza dei materiali.

L’Italia nel suo piccolo è stata protagonista grazie a due centri di eccellenza

  • l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (ISTEC) di Faenza, sotto la supervisione del fisico Frédéric Monteverde
  • il gruppo della Sezione Aerospaziale del Dipartimento di Ingegneria Industriale (DII) dell’Università di Napoli “Federico II” guidato dal Prof. Raffaele Savino

dalla cui ottima sinergia è stato concepito e progettato un esperimento scientifico durante la fase del rientro in atmosfera rivolto allo studio di materiali ceramici della classe ultra-refrattari per temperature estreme, meglio noti come “Ultra-High Temperature Ceramics UHTC” tra la comunità scientifica.

Grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Europea ed alla collaborazione con il “Department of Sanitary Chemical and Microbial Safety (IMBP) con sede a Mosca, ISTEC e DII hanno condotto in quasi totale auto-finanziamento l’esperimento realizzando due componenti in UHTC con funzione di “holder” opportunamente installati sulla parte anteriore esterna dello scudo termico della suddetta capsula.
I due “holders” ospitavano non solo campioni di origine biologica provenente dal IMBP ma anche sensori passivi di temperatura. Questi ultimi hanno giocato un ruolo di “in-situ monitoring” per lo studio e la caratterizzazione aero-termodinamica dei materiali UHTC durante la fase del rientro atmosferico.

La capsula è rientrata attraversando l’atmosfera terrestre ed è quindi atterrata nella regione russa di Orenburg, vicino al confine con il Kazakistan. Al termine della missione subito dopo l’atterraggio, i due “holders” così come tutte le strumentazioni ed apparati legati agli esperiementi “on-board”, sono stati recuperati. Ad una prima ispezione visiva basata sulle immagini/filmati disponibili, i due “holders” hanno mostrato di aver retto adeguatamente l’urto termico generato dalle condizioni critiche di carico termico incontrate durante il rientro atmosferico.

Scudo esterno della capsula Photon: in evidenza i due “holders” in UHTC
(riquadro: “holder” nell’alloggiamento iniziale)

Sono in corso le procedure di trasferimento di detti componenti in Italia per le analisi “post-flight” comprendenti simulazioni numeriche e analisi chimiche e microscopiche tese a correlare gli andamenti delle principali grandezze misurate durante la traiettoria di rientro con lo stato di alterazione del materiale in superfice.

L’esperimento congiunto ha messo in evidenza ancora una volta che l’Italia possiede competenze e capacità nella progettazione e realizzazione di materiali ceramici avanzati non seconde a nessuno, e che possono veramente aprire una via rivoluzionaria per lo sviluppo di nuove generazioni di velivoli ipersonici e sistemi di rientro dallo spazio.